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Dott.ssa Giorgia Danesin, PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA

LA TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE (TCC).

  • Immagine del redattore: Dott.ssa Danesin Giorgia
    Dott.ssa Danesin Giorgia
  • 7 gen 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 11 gen 2020

DI COSA STIAMO PARLANDO E COME SI APPLICA ALL'ETA' EVOLUTIVA.

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COSA è LA TCC E SU COSA LAVORA?

La psicoterapia cognitivo-comportamentale nasce intorno alla metà degli anni '50 e unisce due approcci pre-esistenti: la terapia comportamentale e quella cognitiva. Questo genere di terapia parte dall'assunto di base per cui il comportamento è strettamente legato ai pensieri e alle emozioni del soggetto; di conseguenza un dialogo interno disfunzionale si traduce in comportamenti altrettanto disfunzionali, spesso accompagnati dalla difficoltà di gestire o addirittura di riconoscere le emozioni, sia positive che negative. Lavorare sul modo di pensare e di agire della persona significa lavorare indirettamente anche sulle sue emozioni disfunzionali.

COME SI APPLICA QUESTA TERAPIA AL BAMBINO?

La TCC cercò inizialmente di adattare gli stessi modelli applicati all'adulto anche al bambino, strategia in grado di dare ottimi risultati, a patto che le modalità utilizzate per mettere in atto i suddetti modelli siano compatibili con la fase evolutiva del piccolo paziente. La TCC si è dimostrata efficace per il trattamento di molteplici disturbi psicologici tipici dell'età evolutiva, cosa che ha contribuito a rendere questo genere di terapia di grande interesse per la ricerca scientifica, che ne garantisce l'aggiornamento e la verifica continui. Come l'adulto, anche il bambino si relaziona all'ambiente attraverso meccanisci cognitivi generati da processi di apprendimento, perciò il compito dello psicoterapeuta è fare in modo che il bambino viva nuove esperienze di apprendimento in grado di modificarne i processi cognitivi, le reazioni emotive e di consegienza i comportamenti disfunzionali.

QUALI DIFFICOLTA' INCONTRA IL TERAPEUTA?

Esistono diversi fattori che rendono complicato il lavoro dello psicoterapeuta con il bambino, principalmente nella costruzione di una relazione terapeutica efficace. Il bambino è spesso ignaro delle proprie difficoltà e nella maggior parte dei casi sono gli adulti di riferimento a chiedere aiuto per lui, cosa che a volte può generare una certa resistenza nel bambino che si ritrova a vivere la decisione dell'intervento come una sorta di punizione. In altri casi la diffidenza del piccolo paziente scaturisce invece dal sentirsi diverso dagli altri, dato che non sa che ci sono altri bambini ad aver bisogno di un sostegno simile. La costruzione di una buona alleanza terapeutica può anche essere inficiata dalla difficoltà del bambino di comprendere e individuare la connessione tra pensiero, emozione e comportamento o dalla sua diffidenza nel parlare delle proprie difficoltà; in questo caso, è preferibile partire indagando comportamenti di altri, per poi avvicinarsi sempre di più alla sfera personale. Per limitare queste difficoltà, ho scelto di dedicare un adeguato spazio al gioco durante gli incontri, in modo da consolidare e accrescere gradualmente la fiducia del bambino nei miei confronti.

SU COSA CONCENTRARCI DURANTE I PRIMI COLLOQUI?

Oltre a facilitare una buona relazione terapeutica, è importante che il professionista chiarisca il suo ruolo: di solito esordisco dicendo che sono una persona che ascolta i bambini e cerca di aiutarli se hanno qualche difficoltà. È importante garantire loro il segreto professionale, a meno che non emergano informazioni delicate e pericolose per il paziente stesso o per altri. Il terapeuta, durante i primi colloqui di valutazione del problema, deve cercare di raccogliere il maggior numero di informazioni relative a: situazioni in cui emerge il problema; osservazioni del bambino in merito alle reazioni di genitori o altre figure di riferimento riguardo certi suoi comportamenti; pensieri automatici del bambino rispetto al comportamento problematico; obiettivi che il bambino vorrebbe raggiungere. È di fondamentale importanza adattare l'intervento al livello cognitivo del bambino: già dai 7 anni il bambino può ricavare benessere da tecniche cognitive e fino ai 10 anni è in grado di lavorare sul dialogo interno e sull'uso dei pensieri automatici positivi, mentre i bambini in età pre-scolare rispondono bene alle tecniche comportamentali. Ai preadolescenti invece possono essere dedicate tecniche cognitive più sofisticate, che vadano a lavorare sui sistemi di convinzione disfunzionali.

SI LAVORA SOLO SUL BAMBINO?

Per un intervento più efficace e completo è sempre bene coinvolgere anche i genitori e gli insegnanti. In generale, quando si lavora con un bambino, è bene non dimenticare che è fondamentale lavorare con la rete in cui è inserito, facilitando così l'obiettivo di generalizzare l'intervento fatto in terapia anche nell'ambiente esterno.



 
 
 

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© 2020 Dott.ssa Giorgia Danesin, Psicologa Psicoerapeuta

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